After Auber (1856) and Massenet (1884), the third operatic adaptation of Prévost's novel, Puccini's Manon Lescaut, premiered at Turin Teatro Regio in 1893. It was the composer's first mature work, a big step forward compared with Edgar, but it was not yet the level of La bohème. The libretto had a troubled genesis, to say the least: seven people got their hands on it. With its unnecessary repetitions, linguistic ambitions and inconsistencies it did not bode well, but the rich melodic invention of the composer prevailed and the success was resounding.

Maria José Siri (Manon Lescaut) and Dalibor Jenis (Lescaut)
© Ramella & Giannese | Teatro Regio di Torino

The work is discontinuous, though: in the first part, it nods to manneristic 18th-century style, but from the symphonic intermezzo it turns into a highly dramatic second half, with an overpowering, tragic finale. Here the death of the female protagonist has nothing to do with hope in the afterlife, nor is there a metaphysical transfiguration as in Wagnerian drama; it is the end of a young girl still craving for the pleasures and illusions of the life that she is going to lose.

In January 2006, in the same town as its historic debut, Jean Reno designed his production for tenor Roberto Alagna, who unfortunately had to withdraw for health reasons. Eleven years later, only Thierry Flamand's scenery remains and is utilized by new director Vittorio Borrelli. They were not particularly interesting then and neither are they now, but in times of economic hardship, theatres rake up what they have in stock and are not for subtlety.

Maria José Siri (Manon Lescaut), Gregory Kunde (Des Grieux) and Francesco Marsiglia (Edmondo)
© Ramella & Giannese | Teatro Regio di Torino

But the occasion could be used to put forward two promising young performers in the roles of Manon and Des Grieux. Instead the choice fell on two established singers for both roles, of which one must adopt a mighty dose of suspension of disbelief. The high-spirited 15-year-old girl is sturdily cast, while the tenor singing the young student Des Grieux is older than the aged Geronte!

The Uruguayan soprano Maria José Siri has already successfully performed a Puccinian role for the season opening of Teatro alla Scala, but her Madama Butterfly seemed more convincing then her Manon, here without guile or sensuality. Her vocal emission and phrasing were accurate, but Manon's character doesn't come out and she is not emotional. Her acting did not always convince. The direction here does nothing but illustrate the libretto slavishly. Graham Vick, Mariusz Treliński or Jonathan Kent – to cite only some of the most recent stagings – are extremely far-flung from Borrelli's direction. He never insinuates any idea of an affair where a brother, a cheater by profession, sells his sister to the lusts of the first old man willing to pay.

Gregory Kunde (Des Grieux) and Maria José Siri (Manon Lescaut)
© Ramella & Giannese | Teatro Regio di Torino

Gregory Kunde was far from convincing as a young Des Grieux, but vocally his singing was exemplary: every sentence had its proper articulation, mezze voci were beautiful, high notes well-placed and it is always a pleasure to listen to the miracle of his undamaged voice, but this only goes so far. 

Dalibor Jenis did not do much to make his Lescaut any more interesting, while Carlo Lepore characterized a solid, fruity-toned Geronte di Ravoir, never inclined to parody or bad effects in his definition of the character.

Gianandrea Noseda's conducting was vigorous and he didn't recede in front of the melodramatic outbursts from the orchestra, but he also knows how to bring out the seductive tones scattered in Puccini's symphonic score or the thrills of sensuality pervading the duets of the two lovers.

 

 

Una scialba Manon Lescaut al Regio di Torino

Terzo adattamento operistico della vicenda creata dall'abate Prévost. Dopo Auber (1856) e Massenet (1884), quello di Puccini vede la luce al Teatro Regio di Torino il primo febbraio 1893. Manon Lescaut è la prima opera matura del compositore, certamente un bel passo avanti rispetto all'Edgar, ma non è neanche ancora La bohème. Il libretto aveva avuto una genesi a dir poco tormentata: ben sette persone vi avevano messo mano! Con le sue inutili ripetizioni, le velleità linguistiche e le incoerenze, non faceva presagire nulla di buono, ma la seducente invenzione melodica del compositore che ha rivestito quel testo pretenzioso ebbe la meglio e il successo fu clamoroso. L'opera resta comunque un insieme discontinuo: nella prima parte fa il verso a un Settecento fastidiosamente di maniera, ma poi con l'intermezzo sinfonico vira in una seconda parte fortemente drammatica, addirittura insopportabilmente tragica nell'angoscioso finale. Qui la morte della protagonista non ha nulla della cristiana speranza ultraterrena, né della trasfigurazione metafisica realizzata nel teatro wagneriano: è la fine di una giovane ancora rivolta ai piaceri e alle illusioni di quell'unica vita che sta perdendo.

Nella stessa città dello storico debutto, Jean Reno nel gennaio 2006 aveva allestito una Manon Lescaut destinata al suo amico Roberto Alagna, il quale però dovette lasciare la produzione per motivi di salute. Undici anni dopo, di quell'allestimento, unico caso di regia lirica dell'attore francese, rimangono solo le scenografie di Thierry Flamand, che vengono ora riutilizzate dal regista Vittorio Borrelli. Non erano particolarmente interessanti allora e non lo sono neanche adesso, ma in tempi di ristrettezze economiche i teatri riesumano quello che hanno in magazzino senza andare troppo per il sottile.

L'occasione poteva essere la proposta di due giovani promettenti da lanciare nei ruoli di Manon e Des Grieux, ma neanche questo sembra sia stato il motivo, visto che la scelta è ricaduta su due cantanti in maniera diversa affermati, ma per entrambi i quali occorre adottare una generosa dose di suspension of disbelief: la gaia quindicenne ha l'età e il fisico di una florida signora a cui sono stati per di più imposti costumi impietosi, mentre lo studente Des Grieux è più âgé del vecchio Geronte!

Il soprano uruguaiano Maria José Siri aveva già affrontato con successo un ruolo pucciniano per l'apertura quest'anno della stagione della Scala, ma la sua Madama Butterfly era sembrata allora più convincente di questa sua attuale Manon, una Manon senza malizia e sensualità. Sul piano vocale l'emissione è precisa e il fraseggio accurato, ma il personaggio non esce fuori e non commuove.

Neanche Gregory Kunde riesce a convincere come giovane Des Grieux, ma vocalmente il suo canto è quanto di più incisivo si possa immaginare: ogni frase ha la sua giusta espressione, le mezze voci sono belle e gli acuti ben piazzati ed è sempre un piacere ascoltare il miracolo della sua resa vocale pressoché intatta, però...

Dalibor Jenis non fa molto per rendere il suo tenente Lescaut più interessante, mentre Carlo Lepore si distingue invece per un sapido Geronte di Ravoir dal bel timbro e mai incline ad effetti caricaturali nella sua definizione del personaggio.

La direzione di Gianandrea Noseda è vigorosa e non arretra di fronte agli effetti veristici in orchestra, ma sa anche esaltare la meravigliosa vena melodica sparsa nella partitura o i fremiti di sensualità che pervadono i duetti dei due amanti e i momenti sinfonici.

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